

di Joseph Cacioppo
Cosa succede se un arciprete si mette contro sant’Onofrio? Non per capriccio, si capisce. Ma, si sa, la morale dipende dal luogo e dal tempo. E la storia “I figli del deserto”, che Nonuccio Anselmo racconta per “Mohicani Edizioni”, è ambientata – e non poteva essere diversamente – nella Sicilia del feudo all’indomani della seconda guerra.
Il santo in questione è sant’Onofrio Anacoreta, patrono di Palermo assieme a Santa Rosalia, ritenuto protettore di chi cerca oggetti smarriti, nonché delle donne che cercano marito e degli studenti che hanno problemi di studio.
Se poi si introduce anche uno scontro tra sant’Antonio abate e san Calogero, ovvero tra i suoi devoti (visto che i santi non litigano), allora la vicenda si complica e la storia dei tre “padri del deserto” si fa intrigante.
Una storia surreale. Che mette a nudo il ruolo delle confraternite. Un finto incidente, un sequestro di persona, un processo che richiama il teatro dell’assurdo. E per venire a capo della matassa si mobilitano un maresciallo dei carabinieri e un capitano (e si, anche i piccoli centri hanno un graduato con tre stelle) dei vigili urbani. Un “investigatore”, il capitano, che di surreale non ha solo il nome Santocanale Santo.
Nonuccio Anselmo, giornalista da una vita, nato a Palermo ma vissuto da giovane a Corleone, pare essersi divertito a scrivere il romanzo. Attinge a piene mani a quelli che sono i detti siciliani sul tema: “chi parrini, senticci a missa e stoccaci i rini”, “ca senza sordi non si canta missa”. Rispolvera alcuni termini in dialetto siciliano in via di estinzione. E fruga nell’animo umano del siciliano per il quale l’apparire conta più dell’essere. Anche in materia sessuale.