

Perché l’edizione 2017 del Premio letterario internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa sta creando tanto dibattito locale?
Le motivazioni più dibattute sembrano due. La prima attiene a qualche défaillance registratasi nella serata del 12 agosto. Piccole cose. Sfumature. Buone per le discussioni da bar dello sport. La seconda motivazione va ricercata in ambito politico. Cambiato l’assessore alla cultura cambia l’impatto mediatico. Basta fare il confronto tra la rassegna stampa degli scorsi anni e quella del 2017.
Già quest’ultima osservazione fa riflettere sulla virtualità del Premio letterario internazionale: non esiste per la sua solidità strutturale acquisita nel corso di 14 edizioni, ma solo perché per l’occasione vengono “azionati” i canali mediatici. Basta che l’interruttore non venga “azionato” e la visibilità crolla.
Un Premio virtuale, dunque. Come abbiamo sempre segnalato. Adesso è caduta anche l’ultima foglia di fico che mascherava il tutto ed il re si è scoperto nudo.
Ecco perché l’edizione 2017 va apprezzata. Ha ricondotto le cose al loro effettivo posto.
Ma se il format ha ricalcato quello delle edizioni precedenti, va registrata una grossa novità. Oltre a parlare dell’autore “nominato” e dei cantanti (per attirare in piazza gli ospiti) nella XIV edizione del Premio si è parlato anche del libro. Già il libro. Il “protagonista”, finalmente, ha avuto un ruolo. Glielo hanno dato dei giovani del posto. Bravi.
Ecco perché, pur nei limiti imposti dal format e dalla programmazione eredita, il direttore scientifico ha fatto la differenza. Ha posto al centro della scena il “libro”, e lo ha fatto chiamando a raccolta i giovani del luogo. Certo, non è la rivoluzione. Ma nel paese del Gattopardo è già tanto.