

Si inaugura a Santa Margherita di Belice, domenica 23 luglio alle ore 19,30, il monumento dell’Emigrante.
Monumento voluto dai margheritesi d’America. Gente tosta che conosce il fenomeno dell’emigrazione. Gente che certamente non sorride vedendo le scene del film “Nuovomondo” (2006) di Emanuele Crialese. Certo il loro “viaggio”, negli anni ’60, verso l’America è stato sicuramente meno crudo di quello della famiglia “Mancuso” di Crialese di inizio del secolo scorso. Ma le difficoltà ad inserirsi nel “nuovo mondo”, a parlare la nuova lingua, avranno avuto molto in comune.
La giornata dell’emigrante prevista per domenica, però, vuole indicare il bicchiere mezzo pieno di questo fenomeno che ha coinvolto la comunità margheritese. Alle ore 10,30 è previsto un convegno sul tema presso il teatro Sant’Alessandro. Mentre alle 19,30 sarà scoperto il monumento realizzato dal Maestro Paolo Manno, margheritese.
Il monumento è stato collocato in piazza dell’Emigrante, in prossimità della rotatoria di corso Italia. Piazza realizzata 12 anni fa, ed oggi arricchita da questo simbolo di fratellanza. E si, perché la scultura-monumento che verrà “scoperta” domenica è molto di più di un ornamento di una piazza. Rappresenta il cordone ombelicale che ancora lega i “margheritesi d’America” alla loro terra di nascita. Rappresenta l’amarezza che Josè Feliciano, nel 1981, riassumeva nella sua canzone “paese mio … che stai sulla collina”.In America se ne è andato il corpo, per un futuro migliore, ma non il cuore.
L’iniziativa è stata voluta, promossa e finanziata dal “Circolo S. Margherita di Belìce di New York”. Una comunità nella comunità. Per l’occasione i vertici del sodalizio: Pietro Ciaccio (presidente) e Antonino La Sala e Filippo Barone (chairman’s della manifestazione), e tanti altri, sono ritornati nel paese del Cafè House, il “loro” paese.
E questo “cordone ombelicale”, questo rapporto affettivo dei margheritesi d’America con il paese natìo, non è di oggi. C’è sempre stato. Sono stati i margheritesi d’America a far costruire, negli anni ’60, l’ospedale “dott. Onofrio Abruzzo”. E si tocca con mano ogni qual volta un margheritese si trova ospite negli USA.
Resta un solo dubbio: riusciremo a mantenere questo legame con le nuove generazioni così restìe a conoscere la storia? Anche quella locale?