

di Laura Bonelli
“D’improvviso mi è venuta voglia di musica. Non so di preciso di che tipo. Musica e basta. E poi avrei voglia di sentire delle voci che, unendosi, creano una sinfonia. Ripenso al Portogallo e ai canti delle mogli dei pescatori. Quelle donne erano così semplici e strazianti. Se ne stavano nei loro vestiti neri a osservare il mare, come se volessero costringerlo a obbedire. Gli cantavano per ammansirlo e pregarlo”.
Sembra un’impresa difficile riuscire a parlare ai ragazzi di un personaggio complesso e indecifrabile come Simone Weil. Vuol dire attraversare la prima metà del ‘900 guardandolo attraverso le speranze degli ideali civili e spirituali più alti, ma anche attraverso le nevrosi e l’irrequietezza di una gioventù che non sa trovare il proprio posto nella società.
Ci riesce egregiamente Guia Risari, nel suo libro “Il taccuino di Simone Weil” (rueBallu Edizioni) in cui la filosofa prende voce attraverso un diario, intimo, semplice, ma in grado di raccontare il suo pensiero politico, esistenziale e la lotta contro una salute malferma a livello fisico e mentale a cui non si volle mai piegare, ma che le fece trovare la morte a soli trentaquattro anni.
Anarchica, mistica, tormentata, Simone Weil passa la sua giovane esistenza in slanci appassionati che vuole vivere in prima persona preferendo sperimentare la dura condizione operaia di quel tempo alla placida carriera di insegnante.
Riflette sull’importanza della non-violenza quando la seconda guerra mondiale è alle porte e approfondisce il cristianesimo in modo del tutto originale, senza mai “convertirsi” e con una dedizione e uno spasimo tipici del misticismo medioevale.
Il libro si avvale delle splendide illustrazioni di Pia Valentinis che trasmettono il senso di un’epoca in cui sta crescendo il pensiero nazista e lo sforzo di un pensiero, vero inno alla bellezza, che cerca di contrastarlo.
“Niente più della campagna dà un senso preciso del valore del lavoro: ci vogliono costanza, abitudine e anche una certa grazia.
In più la campagna, con i suoi silenzi e la sua natura, permette di pensare alla bellezza del mondo e di contemplarla. In campagna, ho capito che bisognava imitare la bellezza, rinunciando ad agire e a considerarsi il centro dell’universo. L’essere umano non è il vero protagonista della scena e non è nemmeno l’unico. Tutti i punti dell’universo sono al centro.”