

Licia Cardillo Di Prima
"Stai per intraprendere, caro lettore, un viaggio che potrebbe non contemplare il ritorno. Preparati a varcare una soglia invisibile, perché una volta lette queste pagine, il tuo rapporto con lo città muterà sensibilmente."
Si legge cosi nella simpatica "Avvertenza e modalità d'uso" che l'autore ha premesso alla guida. Una sorta di bugiardino sui rischi che il lettore corre nell'attraversare la Palermo letteraria: primo fra tutti, quello di non riconoscere più i luoghi che ha frequentato e che si sono depositati nel suo immaginario.
Una guida preziosa, con un Virgilio d'eccezione - l'autore - che prende per mano il lettore e lo conduce in questa città di carta, attraverso vicoli e piazze pullulanti di un'umanità anch'essa di carta, ma più vera di quella reale.
Un vero e proprio viaggio attraverso il fiume d'inchiostro uscito fuori dalla penna di oltre trenta scrittori, ciascuno dei quali, con le parole, s'è costruita la propria città così come l'ha percepita, immaginata, subita, temuta o vagheggiata.
Da questo attraversamento - mediato dall'occhio dell 'autore che guarda ai luoghi letterari ma anche alla "topografia protocollare" - viene fuori una Palermo sfaccettata, proteiforme, polifonica, come estratta fuori "dagli anfratti inaccessibili di una fantasmatica profondità"; una città declinata in tutte le variabili. Nulla, infatti, sfugge all'occhio di Ferlita che fruga nel "ventre nascosto"; tra le "macerie affabulatorie" e le forme sbilenche e policrome che si levano in altezza, proponendoci un gioco di specchi che moltiplicano le immagini, le sovrappongono, le sdoppiano, fino a farle svanire. Davanti ai molteplici aspetti di Palermo, viene in mente, una delle città invisibili di Calvino, Fedora, "la metropoli di pietra grigia che ha "nel palazzo delle sfere il suo museo. Basta visitarlo e scegliere quella che corrisponde ai nostri sogni". Durante la passeggiata, che spesso si fa antropologica e sociologica, il lettore rimane soggiogato dalla polifonia, dai colori, dagli odori, ma soprattutto dai chiaroscuri "caravaggeschi" che Salvatore Ferlita si diverte a scoprire e illuminare con il suo linguaggio immaginifico.
A imporsi con tutto il suo fascino sul lettore - ma anche sull'autore - è la cavità sotterranea, ctonia, catacombale, nelle cui viscere Luigi Natoli collocò il terribile tribunale dei Beati Paoli: il ventre di Palermo, quel ventre che portava in gestazione una giustizia arbitraria: "uno stato dentro lo stato, formidabile perché occulto, terribile perché giudicava senza appello, puniva senza pietà, colpiva senza fallire".
La Palermo buia, infernale – humus per molti scrittori palermitani e non - che, con il tempo, avrebbe partorito altri mostri.
Leggendo queste pagine, si ha l'impressione che dalle macerie materiali e spirituali della città si levino ancora bisbigli, sospiri, ectoplasmi a scuotere i vivi affinché ridiano loro voce.
Viene fuori una città dolente che non ha metabolizzato l'orrore da cui, nei secoli, è stata attraversata e che non si è lasciata lenire dal tempo. La cifra comune degli scrittori rimane, infatti, il lutto più che la luce; i correlativi oggettivi il Trionfo della morte e la Cripta dei Cappuccini. Una Palermo, quindi, che non ha fatto ancora i conti con il passato: sfuggente, pulviscolare, frammentaria ma, che nelle pagine di questa straordinaria guida letteraria, come per magia, si ricompone.
(tratto da La Voce di Sambuca)